Bisogna distinguere due
casi:
- Lavoratori iscritti dopo il 29
aprile 1993 ad un ente di previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap, casse professionali): devono scegliere se destinare
il TFR ad una forma pensionistica complementare o se lasciarlo
all'azienda. Se non si fa nessuna scelta scatta la formula del silenzio-assenso
e il TFR futuro verrà destinato alla forma pensionistica complementare
prevista dagli accordi di categoria.
- Lavoratori iscritti prima del
29 aprile 1993 ad un ente di previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap, casse
professionali, ecc.): vale quanto detto sopra, con
l'unica differenza che si può decidere di dividere il TFR in due parti,
una alla previdenza complementare e l'altra presso l'azienda. Quanto TFR
può essere destinato ad uno scopo e quanto all'altro è definito dai
particolari accordi collettivi; in assenza di accordi va destinato alla
previdenza complementare almeno il 50% del TFR che verrà maturato.
In entrambi i casi, se il
lavoratore non fa nessuna scelta (silenzio-assenso), il datore di lavoro è
tenuto a versare il TFR nel comparto meno rischioso del fondo di categoria. Si
ricorda che per comparto ‘meno rischioso’ si intende quello che garantisce dei
rendimenti paragonabili alla rivalutazione del TFR lasciato in azienda (il
2,78% di cui sopra). E’ necessario sottolineare l’ambiguità della norma che
parla di ‘rendimenti paragonabili’ senza nessuna indicazione specifica.
Se invece non esiste nessun fondo
di categoria per l’azienda, allora il datore di lavoro è tenuto a versarlo al
fondo di previdenza creato in questi ultimi mesi proprio per i lavoratori
silenti: FondInps.
E’ bene ricordare che la scelta
del conferimento del TFR alla previdenza complementare è IRREVERSIBILE cioè il
lavoratore non potrà mai più chiedere che gli venga accantonato in azienda. Al
contrario, se si decide di lasciarlo in azienda, potrà in futuro destinarlo ad
un fondo pensione.
A chi conviene lasciare il TFR
in azienda?
A chi ha un lavoro atipico
Oggi il TFR è anche uno strumento
che consente, a chi perde il lavoro, di poter tirare avanti per un certo
periodo di tempo. Il decreto prevede, in caso di perdita del lavoro, la
possibilità di “riscatto” del 50% del capitale accumulato, a patto che il
periodo di disoccupazione sia di almeno un anno. Significa che chi viene
licenziato senza trovare un nuovo lavoro resterà per un anno senza un
centesimo. Il decreto prevede anche la possibilità di riscatto del 100% del
capitale accumulato, ma solo a condizione che la disoccupazione non sia
inferiore a 4 anni! Quindi se si è in possesso di un contratto a tempo
determinato o in generale di un lavoro atipico bisogna pensarci due volte prima
di conferire il TFR ai fondi.
Tuttavia, con i rendimenti del
TFR lasciato in azienda, sarà molto difficile costruire una pensione
complementare decente. E’ consigliabile quindi aprire una seconda posizione
previdenziale per conto proprio da gestire come si meglio crede. In tal caso il
supporto di un consulente finanziario può essere fondamentale.
A chi conviene conferire il
TFR ai fondi pensione?
1. A chi ha più di 20 anni al pensionamento
Chi ha possibilità di
contribuzione di lungo periodo può pensare di sfruttare i rendimenti dei
mercati finanziari e conferire il TFR ai fondi per avere, fra almeno 20 anni,
una pensione migliore. Questa scelta da la possibilità di avere rendimenti
elevati ma anche perdite significative.
2. A chi dispone di un fondo pensione di categoria (negoziale)
Aderendo ad un fondo pensione di
categoria si usufruisce di tre fondamentali benefici:
-
Bassissimi costi di gestione dei fondi di categoria
-
Quota del datore di lavoro
-
Fiscalità più conveniente
Solitamente (è necessario fare i
calcoli per i casi specifici), si ha una notevole convenienza a sottoscrivere
il fondo negoziale versando il minimo del contributo volontario. In questo
modo, infatti, quando si andrà in pensione, si potrà ricevere una liquidazione
sensibilmente più elevata grazie all'effetto fiscale per la parte trasferita al
fondo pensione ed al contributo aggiuntivo del datore di lavoro.
La normativa attuale, nella
maggioranza dei casi, rende economicamente conveniente trasferire il TFR
maturando nei fondi pensione se si sceglie di versare il contributo volontario
al quale si aggiunge il contributo datoriale.
Ci sono, essenzialmente, due
motivi per sostenere quanto appena affermato:
a) il contributo del datore di
lavoro rappresenta il 10-15% del TFR: un importo così significativo che
qualunque disquisizione sul rendimento del TFR mantenuto in azienda e quello
dei fondi pensione perde di significato;
b) sul piano fiscale, il
trasferimento del TFR nei fondi pensione è più conveniente. Non e' vero, come
dice qualcuno, che si tratta di una mero differimento dell'imposta. Si può
sostenere, correttamente, che le scelte finanziarie e previdenziali non devono
essere basate sull'aspetto fiscale perchè le norme possono variare nel lungo
termine ma l'impatto fiscale non deve essere ignorato.
Alle condizioni attuali e nella
maggioranza dei casi si tratta di una scelta tecnicamente conveniente.
E per tutti gli altri?
Chi infine non vuole delegare
ad altri la gestione della propria posizione previdenziale ma vuole comunque
investire nei fondi pensione, una valida alternativa è quella di lasciare il
TFR in azienda e contemporaneamente investire in un fondo previdenziale per
conto proprio da gestire come meglio crede. Anche in questo caso il supporto di
un consulente finanziario può essere fondamentale.
Non ci sono
soluzioni buone per tutti: dipende dall'età dal lavoratore, dall'anno di inizio
versamento dei contributi e dall'esigenza di riscuotere il TFR in un'unica
soluzione.
In ogni caso è possibile dare i
seguenti consigli:
- Non affidatevi al
silenzio-assenso. Senza l’adesione esplicita al fondo pensione di
categoria, si perde il contributo aziendale e si perdono dei vantaggi
fiscali, infatti non sarà possibile dedurre dall’imponibile il
contributo aziendale e il contributo del lavoratore. I silenti inoltre perdono
eventuali coperture assicurative morte ed invalidità. Quindi
informatevi, decidete ed entro il 30 giugno pronunciatevi.
- Nel dubbio conviene
aspettare e mantenere il TFR in azienda. Un mese prima o un mese dopo
non cambia niente.L'argomento della previdenza integrativa è
particolarmente complesso. Si intrecciano aspetti normativi, fiscali e
finanziari. Una scelta cosi' importante non deve essere fatta in modo
forzato, ma in maniera ragionata e consapevole. E’ preferibile decidere di
lasciare il TFR in azienda per poi fare la scelta dei fondi pensione dopo
qualche mese, una volta "convinti" da un’attenta analisi della
questione, piuttosto che scegliere sulla base della fretta. E' più
importante capire bene cosa stiamo facendo e come lo stiamo facendo. Se
non siamo sicuri o non abbiamo tutte le informazioni necessarie è molto
meglio aspettare (ricordate che la scelta dei fondi è IRREVERSIBILE).
- La scelta migliore è sempre
quella di una pianificazione previdenziale assistita nel tempo: solo
integrando le diverse opportunità pensionistiche possiamo raggiungere il
tenore di vita desiderato al pensionamento.
Concludendo
Molte delle critiche che vengono
rivolte ai fondi pensione, anche da persone competenti sembrano avere più un
orientamento politico che tecnico.
Il modello di previdenza
integrativa che l'Italia ha scelto e' questo. All'interno di queste norme, i
lavoratori devono fare delle valutazioni di convenienza. Purtroppo, la
maggioranza dei lavoratori fara' la scelta senza la necessaria consapevolezza
(come avviene quasi sempre nel settore finanziario) fidandosi di persone
interessate e/o non sufficientemente preparate.
Ci sarà, poi, una piccola fetta
di lavoratori che vuole scegliere in maniera consapevole ed informata. A questi
lavoratori, mettendo da parte le questioni politiche, vogliamo spiegare con la
maggiore chiarezza possibile cosa effettivamente conviene all'interno del
quadro normativo e fiscale attuale.
Per ulteriori informazioni lo
studio di consulenza indipendente “Pianificando” vi offre un supporto di base
per poter scegliere al meglio.
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